Intervista a Ernesto Mollo

Ernesto Mollo è un biologo marino e ricercatore CNR. Il dott. Mollo si immerge a mare per trovare materiale per le sue ricerche.  Si occupa di identificare i meccanismi di comunicazione e difesa degli organismi marini.

1 Cosa le piace di più del suo lavoro? Perché?

Alla vostra età ero molto molto curioso. Passavo ore ed ore con maschera e pinne ad osservare la vita marina e a farmi domande. Tra i tanti esempi che potrei fare: mi chiedevo perché alcuni animali erano brillantemente colorati ed altri si camuffavano assumendo lo stesso colore del fondo.

All’epoca non c’era internet e la mia sola possibilità di trovare risposte era fare domande a mio padre, e mio padre era un poeta. Ricordo con tanto affetto le sue risposte belle e fantasiose, che si concludevano però spesso con “se poi vuoi capire di più devi leggere”. Ci ho provato, e nei libri a mia disposizione ho trovato sia alcune risposte che moltissime altre domande. Così, la mia curiosità si espandeva invece di placarsi.

Finché non incominciai a fare piccoli esperimenti. Ho continuato così per tutta la vita. Oggi sono un ricercatore che opera nel campo della biologia marina. Quello che mi piace di più del mio lavoro è che posso liberamente pormi domande e cercare risposte. Non avrei mai potuto immaginare da piccolo che questo potesse essere un lavoro retribuito. Ed ancora oggi mi sorprende che mi paghino per essere me stesso.

2 La biologia marina, è molto vasta. Lei di che cosa si occupa di preciso?

Uno degli obiettivi principali del mio lavoro è lo studio delle sostanze naturali prodotte dagli organismi marini, e della loro funzione e distribuzione in natura. Questo mi permette di approfondire la conoscenza dei sistemi di comunicazione attraverso i quali gli animali marini trovano il cibo, si difendono dai predatori, e si riproducono.

Tutte queste attività richiedono spesso l’azione di sostanze chimiche che agiscono da segnali. Per l’isolamento ed identificazione di queste sostanze collaboro con i miei colleghi chimici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e poi mi invento esperimenti per dimostrarne il ruolo biologico nell’ambiente naturale.

3 Quanto tempo passa vicino al mare a raccogliere materiale per le sue ricerche?

In passato, una parte importante della mia attività era dedicata alla realizzazione di campagne di esplorazioni subacquee nell’ambito di accordi di ricerca internazionali lungo le coste di Spagna, Grecia, Venezuela, Messico, Cuba, Costa Rica, Egitto, Tunisia, Portogallo, India, Russia, Australia, Antartide, e Cina. Le campagne duravano da quindici giorni ad un mese, e ne svolgevo anche cinque per anno, immergendomi in quasi tutti i mari del mondo.

Tutte queste peregrinazioni hanno sollevato una enorme quantità di nuovi interrogativi.  Oggi che ritengo di aver raccolto abbastanza informazioni e collezionato abbastanza domande (troppe per una sola vita), dedico molto più tempo alla ricerca di laboratorio per cercare di trovare più risposte che posso.

Ha mai visto alghe luminescenti? Mi può spiegare perché si illuminano?

Si, ho visto spesso il bagliore bioluminescente di molti organismi marini, non solo alghe, ma anche animali. Di solito, il bagliore è emesso in particolare quando gli organismi subiscono un impatto meccanico o uno stress, ad esempio quando le onde si infrangono sulla costa, o quando un remo si muove nell’acqua.

La bioluminescenza può anche attivarsi per attirare possibili prede, e questo è il caso di pesci che vivono a grandi profondità, ed è innescata da una reazione chimica che può avvenire anche in mancanza di luce esterna.  Nella maggior parte dei casi la bioluminescenza è dovuta ad una sostanza che si chiama luciferina che emette luce sotto l’effetto di un’altra sostanza (un enzima) che si chiama luciferasi.

Secondo alcuni, tra gli organismi marini planctonici (quelli trasportati dalle correnti marine), i dinoflagellati (generalmente considerati alghe) usano la luce per spaventare i predatori. Questa ipotesi, però, non è accettata da alcuni ricercatori che ritengono che la bioluminescenza serva piuttosto ad attirare i predatori che si nutrono dei nemici dei dinoflagellati.

Nell’ambiente marino si osservano anche fenomeni di fluorescenza, che utilizzano la debole luce blu che penetra anche a grandi profondità. La biofluorescenza, però, non va confusa con la bioluminescenza che non richiede necessariamente la presenza di luce.

Il papà di Alessandro si occupa di acustica. Ci ha detto che il rumore influenza la vita di diversi animali marini. Lei ha mai studiato questo problema?

No, purtroppo non ho mai studiato il problema. Quello che so è che si è osservata un’alterata percezione sensoriale di segnali sonori e visivi (e chimici) per effetto dell’acidificazione degli oceani, un problema ecologico di enorme importanza legato all’aumento dei livelli di anidride carbonica. Si tratta di un fatto molto rilevante per mammiferi e pesci, che sono particolarmente sensibili ai suoni prodotti dai sonar navali o da altre attività umane, ma anche da eventi sismici.

Il rumore come forma d’inquinamento acustico oceanico può percorrere lunghe distanze sott’acqua, creando stress ed interferendo con i meccanismi di comunicazione tra organismi marini. Ma ecco che affiorano nuove domande a cui mi piacerebbe, in futuro, cercare di rispondere.  In particolare, mi piacerebbe contribuire ad una migliore comprensione delle modalità attraverso le quali questo tipo di alterazione nei meccanismi di comunicazione audio-visiva possa portare a cambiamenti nei sistemi ecologici marini e nella catena alimentare.

https://giornalistiinerba.altervista.org/crisi-russia-ucraina/

Crisi Russia Ucraina